Rassegna Stampa
- La StampaDESTEFANO E BARBORO - IL BAROCCO รจ LUNARE
Ricomincia, dopo la breve pausa natalizia, l'attività concertistica dell'Accademia di Musica di Pinerolo: questa sera alle 21 all'auditorium Patrizia Cerutti Bresso di viale Giolitti 7 accoglie il prestigioso duo cameristico formato dal violoncellista Dario Destefano e dal pianista Maurizio Barboro.
Costituitosi stabilmente da sette anni, il duo si è fatto valere per l'intensa attività concertistica - sono oramai più di cento le esibizioni pubbliche - e per la particolare cura con la quale sceglie i programmi.
Un'attenzione che si è riversata anche nell'abbondante produzione discografica: Destefano e Barboro hanno infatti inciso per le etichette Real Sound e Phoenix, indagando all'interno di un repertorio centrato sui massimi capolavori della letteratura per i due strumenti, da Brahms a Franck, per giungere fino alla Russia sontuosa e vitale di Rachmaninov, Kabalesky e Shostakovic.
Proprietà di stile, perfetta fusione di tempi e intenti, possesso completo del linguaggio cameristico in tutte le sue sfumature sono le principali qualità che la critica ed il pubblico specializzato riconoscono alla coppia.
Questa serata esplora un largo tratto della produzione cameristica europea, a partire dal barocco meditativo e a tratti lunare di Vivaldi e della sua Sonata n.5, per approdare alle scabre geometrie della Sonata in Re minore op.40 di Dmitrij Shostakovich; lo spazio centrale viene invece dedicato al primo ed al tardo Romanticismo, esemplificati rispettivamente dal celebre Fantasiestücke op.73 di Schumann - un'opera che risale al 1849, originariamente pensata per il pianoforte ed il clarinetto sostituibile ad libitum dal violino o dal violoncello, e che nella sua ispirazione intimistica e nell'andamento a tratti pacatamente malinconico mostra la sua parziale adesione dell'autore all'estetica Biedermeier - seguita dall'altrettanto famosa Sonata in La maggiore del francese César Franck.
- Il Resto del Carlino
Corrono cent'anni dalla morte di Antonin Dvorak (...) e noi italiani non lo stiamo ricordando con grande trasporto.
Una perla, piccola e brillantissima, l'ha rintracciata chi era, sabato scorso, al concerto che nella Sala Mozart dell'Accademia Filarmonica hanno tenuto gli straordinari artisti che formano il torinese Trio Archè.
Programma boemo: il Trio op.15 di Smetana e il Trio op.65 di Dvorak. Una gioia (...)
In tal senso, ovvero quello dell'ampiezza e mobilità del respiro, del gesto interpretativo largo e generosissimo, gravido di emozione, muove la lettura dei tre formidabili solisti che, uniti, compongono un trio che vede convergere esperienze solistiche: Massimo Marin, Dario Destefano e Francesco Cipolletta.
- La Stampa
Il Trio Archè è un piacere sentirlo. Formato da Masimo Marin, Dario Destefano e Francesco Cipolletta possiede intonazione perfetta, affiatamento, qualità di suono, raffinatezza di sfumature e uno slancio interpretativo che ha grandi capacità di comunicazione.
L'altra sera ha affrontato due trii di Dvorak, quello in si bemolle maggiore op.21, e l'altro, più complesso e maturo, in fa minore op.65.
Specialmente il secondo è molto affascinante; e specialmente nell'adagio ci introduce nel quore di quel mondo poetico, che il Trio Archè ha valorizzato come meglio è difficile fare.
Un mondo aperto, quello di Dvorak, a influenze diverse. Da un lato c'è il modello di Brahms, con la sua inappuntabile tenuta formale, ma la suggestione finisce qui.
Per il resto Dvorak è diverso: non ha la profondità di Brahms ne la tendenza alla meditazione solitaria e malinconia che giunge, nel grande amburghese, sino al solipsismo.
Dvorak è sempre estroverso, salubre e vitale.
I suoi adagi come quello, davvero splendido, dll'op-65 (ma anche l'op.21 ha nel movimento lento la sua punta più alta), nella loro dolcezza lievemente unbratibile posseggono una sensualità e una carnalità sconosciuta a Brahms.
Tutto questo èmolto slavo: c'è il senso concreto della terra, della natura vissuta tuffandovici dentro, non dunque come aspirazione fantastica o nostalgica lontananza, ma come contatto salubre con l'aria profumata e umida delle foreste di Boemia.
Grande piacere, all'ascolto, e grandi applausi.
- CD Classic
UN PIANISTA E UN VIOLONCELLISTA IN CASA REAL SOUND
I due eseguono le sonate op.38 e 99 di Brahms, opere che esigono da ambedue gli interpreti qualità e responsabilità solistiche. Secondo Riccardo Risaliti "la loro esecuzione si pone ad un livello di eccellenza".
Una volta le grandi opere della musica da camera, ancor più dei capolavori della musica pianistica, erano - discograficamente parlando - appannaggio dei grandi interpreti, dei mostri sacri, di quelli che hanno fatto la storia: Basti pensare, visto che siamo in tema, alle sonate per violoncello di Beethoven, ancor oggi dominate dai Casals-Serkin, Rostropovich-Richter, Fournier-Kempff, etc.
Lo stesso dicasi delle due sonate brahmsiane per violoncello e pianoforte, dove ancor più si assistiva all'incontro spesso casuale ma quasi sempre entusiasmante di grosse personalità di interpreti.
Eppure la storia discografica degli ultimi decenni ha dimostrato che interpreti più giovani e meno conclamati sono capaci di fornire interpretazioni validissime, perfino talora memorabili.
Anche perchè spesso effettuate da musicisti legati da un lungo - o comunque abituale - affiatamento del duo.
Non so fino a che puntoquesto si può dire di Dario Destefano e Maurizio Barboro; quel che è certo è che la loro esecuzione di queste due sonate, tra le più belle e importanti del repertorio cameristico, si pone ad un livello di eccellenza, per naturalezza del discorso, la bellezza timbrica, l'equilibrio tre le continuità dell'eloquio e le accensioni passionali; oltre che, ovviamente, per la precisione tecnica (e Dio sa quanto sia difficile qui ottenerla, specie nella Seconda Sonata).
Doti avvertibili fin dal celebre poeticissimo inizio della Sonata in mi minore, dove la bella frase baritonale del violoncello viene quasi timidamente commentata dagli accordi del pianoforte; che fa invece contrasto col passionale tuffo in media res che apre la Sonata in fa maggiore.
Sono opere queste, come tutto il Brahms cameristico del resto, che esigono da ambedue gli interpreti qualità e responsabilità solistiche.
Che qui si dimostrano ampiamente.
Registrazione naturale e strumentalmente equilibrata.
- Musica
Nelle Sonate per violoncello, Brahms fonde insieme la forma-sonata ed il liederismo "basso tedesco": quello sorto dalla fascinazione di Herder ed Hamann, i "dioscuri del Reno", verso la vasta messe del Volkslied. Fatti di rassegnazione al fluire del tempo e di una prospettiva "iper-realistica" che provoca una dilatazione allucinata delle cose di tutti i giorni, i Volkslied renani esprimono un senso di "straniamento" già affine a ciò che Freud, in uno scritto, chiamerà "das unheimlich"; "il perturbante". Il "perturbante" è ciò che doveva rimanere nascosto ed è, invece, affiorato, come se, baciando la persona amata, se ne potessero scorgere, al di sotto della pelle, i vasi linfatici pompare sostanza vitale.
L'Allegretto, quasi menuetto, al centro della Sonata n.1 sembra un manifesto musicale di questa "super-romantica" intuizione freudiana. Esso vive del suo orbitare intorno ad un accordo: un falso movimento con la fissità fatta tragica dalla sua stessa malinconia di certi vagabondi folli di luna che danzano inosservati in mezzo alla piazza cittadina, al suono di una muasica che soltanto loro possono udire.
Rispetto al lirismo fluviale di un Rostropovich (DG, insieme a Serking)Dario Destefano e Maurizio Barboro evidenziano con maggiore spietatezza questa "carne scoperta" di un Romanticismo al suo declino e consapevole di come, dopo di lui, le strutture musicali sarebbero state alluvionate dall'individualismo, il "falso Prometeo" "generato dal risentimento delle masse" (Nietzsche) . La Sonata n.2, scritta a vent'anni di distanza dalla prima, ci fa percepire un Brahms ormai assestato nella propria idea di restituire una significanza architettonica alle forme strutturali del passato attraverso il ricorso a microvariazioni in sviluppo progressivo germinate non su di un tema, ma intorno ad un gruppo di cellulemotiviche non sviluppate. Un "modello" di questa tecnica è costituito dall'Allegro vivace iniziale: la scaltrezza con cui i due solisti, qui, fanno avvertire le crepe della volta tonale, e lasciano che attraverso di esse fluiscano i riflessi crepuscolari di un'ingenuità perduta per sempre - quel libero fluire del canto cui Schumann, nella Sinfonia n.3 "Renana", eresse una commossa epigrafe -: un simile cercare orizzonti di libertà sorgiva all'interno di un universo mentale delle volute irredimibili porta ad accostare la presente, la magnifica versione delle Sonate per violoncello di Brahms all'edizione inquietante, scavata nei contorni di una "diaspora della memoria", che di esse ha lasciato Janos Starker (Westminster).
Il vertice del CD è rappresentato dall'Adagio affetuoso della Sonata n.2, dove la rammemorazione della passacaglia barocca, col suo ordine teologico, si stempera in una nenia cullante che sa di ritorno al tempo, sentito quel richiamo materno. Il timbro di Destefano, trasceso della sua gravità, e l'eco di corali luterani escogitato da Barboro, sono di quelle che non si dimenticano più.